Come piccoli fratelli di Jesus Caritas, al seguito di Charles de Foucauld, siamo chiamati a vivere la nostra vocazione «in seno all’intera comunità diocesana, in piena comunione con il vescovo, con i presbiteri, con i diaconi e con tutto il popolo di Dio» (Costituzioni, 1); la vita della Chiesa locale ci riguarda e ci interpella quotidianamente a viverne le preoccupazioni e le sofferenze, le gioie e le speranze. È con questo spirito che abbiamo appena celebrato il Triduo pasquale a conclusione dell’itinerario quaresimale. La Pasqua 2021 è stata speciale, forse unica, se pensiamo a quella dell’anno scorso che abbiamo vissuto nelle nostre case e se cerchiamo di immaginare quella dell’anno prossimo. Ho atteso intenzionalmente di scrivere queste righe soltanto dopo aver celebrato la Pasqua onde essere più obiettivo. Ebbene, assieme ai fratelli, possiamo dedurre serenamente che questa Settimana santa la ricorderemo senz’altro per l’intensità della preghiera. Le restrizioni a causa del Covid hanno favorito – paradossalmente – un maggiore raccoglimento, la sobrietà e anche l’essenzialità delle celebrazioni. La cosa che vorrei sottolineare è la PARTECIPAZIONE ATTIVA del Popolo di Dio. Le chiese dove abbiamo presieduto le liturgie sembravano sempre piccole per quanto erano piene, direi che è mancato lo spazio per poter accogliere una comunità ancora più numerosa… È un segno evidente della vitalità della Chiesa e della sua capacità di reagire nei momenti di difficoltà. Si potrebbe obiettare che, siccome eravamo in zona rossa la gente non poteva andare in giro e quindi in chiesa sì, forse, tuttavia bisogna anche ricordare che ogni volta che si parla di raduni e assembramenti puntualmente la responsabilità o la paura scoraggiano molti. Vorrei ricordare un momento particolare che mi ha colpito fortemente. È stato il Venerdì santo durante la commemorazione della Passione del Signore: giunti al momento dell’Adorazione della croce, abbiamo spiegato all’assemblea che, non potendo venerare la croce con un bacio secondo la consuetudine, ognuno lo poteva fare a casa, e sul momento di inginocchiarci come segno di venerazione. Dopo pochi minuti di silenzio adorante il coro ha intonato un canto, e la comunità cantava a squarciagola, la preghiera che scaturiva dal cuore… Mi è capitato di alzare lo sguardo e ho visto un uomo in prima fila che piangeva. In quel momento mi sono risuonate fortemente le parole di san Paolo: «Noi annunciamo Cristo crocifisso», scandalo per gli uomini, ma, per coloro che sono chiamati, sapienza di Dio (cf. 1Cor 1,22-25). Avevamo da poco ascoltato le parole di Isaia a proposito del Servo sofferente, che non ha bellezza né apparenza per attirare il nostro sguardo: «Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia» (Is 53,3). Ho compreso che la bellezza del crocefisso tuttora è compresa nella fede e afferrata innanzitutto dai “piccoli”… Tutto quello che ho visto e ascoltato in questi giorni santi mi ha fatto riflettere molto sul racconto del primo annuncio della risurrezione: «Il primo giorno della settimana, Maria di Magdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro» (Gv 20,1-9). Maria sfida la paura e la stessa notte, perché spinta dall’amore per il suo Signore; è questa l’immagine che rende l’atteggiamento del popolo cristiano in questo periodo di pandemia, quando intorno è ancora buio; ma chi si sente amato non può far a meno di correre verso la tomba vuota perché sa che il Signore non si trova là, è risorto!.. Eppure non tutte le comunità cristiane hanno il privilegio di poter celebrare solennemente la liturgia. Una delle maggiori preoccupazioni della Chiesa italiana in genere, e della nostra Chiesa locale in Irpina in particolare, è la scarsità di presbiteri e la mancanza di giovani nei seminari e nelle case di formazione. È questo il motivo principale che “costringe” i vescovi, sempre più frequentemente, a bussare alle porte dei conventi e monasteri per assicurare – in diversi casi – almeno la celebrazione domenicale della Eucaristia. Non che sia male, anzi, si tratta sempre della condivisione dei doni di Dio e la fede del Popolo è sempre fonte preziosa di spiritualità; ma non dobbiamo nascondere che le vocazioni sono un dono della comunità cristiana, i presbiteri vengono dalle famiglie e non dai seminari. Forse la comunità non esprime più tale dono? È invece che dal Popolo di Dio, segno e presenza del Cristo Risorto, che la Chiesa rinasce nella speranza. È dalla famiglia, Chiesa domestica, che nascono le vocazioni e il dono di ogni consacrazione. Riscopriamoci Chiesa come famiglia tra famiglie e aiutiamo a comprendere che ogni famiglia è piccola Chiesa, nella quale il Risorto viene a donare la salvezza e a chiedere di essere testimoniato al mondo, nel dono di sé e dei figli.
fratel Oswaldo jc
Articolo pubblicato in JCQ, mensile online dei Piccoli Fratelli di Jesus Caritas, aprile/ Pasqua 2021. Puoi leggere anche i contributi dei fratelli Paolo Maria e Gabriele visitando il sito: