Don Lorenzo Milani (1923-1967) è certamente una delle figure più rilevanti del clero italiano del XX secolo. Ho scoperto questa chiara figura di sacerdote diversi anni fa. Un articolo della rivista paolina Famiglia Cristiana dava spazio alla vicenda di questo giovane sacerdote pubblicandone una lettera inedita. Rimasi impressionato dal fatto che nello spendersi per la missione apostolica si erano fuse nella sua persona l’ufficio di pastore e di maestro di scuola popolare. La stessa nel tempo aveva assunto le qualità di strumento di evangelizzazione. Da allora si è messo in moto in me un crescendo di interesse per l’insegnamento di questo pastore. Credo sia la figura ideale di sacerdote che un po’ tutti vorremmo incontrare nella vita. Occorre sgombrare subito ogni dubbio dal pensare che lo stesso sia una personalità semplice e accomodante. Tutt’altro, un perturbatore di coscienze. Dal confronto-scontro con la sua fortissima personalità, per chi ebbe l’occasione di conoscerlo in vita o dalla lettura delle sue opere, siamo ormai ad oltre quarant’anni dalla sua prematura scomparsa(1967-2020) ciascuno è invitato a ricredersi. Ogni cosa è ricondotta nella sua naturale e giusta dimensione. Scoprii e lessi con interesse i suoi pochi scritti. Cominciai da Lettera a una Professoressa. Alla pagina 82 della stessa mi colpiva in particolare una frase:” Non vi dareste pace, perché la scuola che perde Gianni non è degna d’essere chiamata scuola”. Mi chiesi: “Perché la scuola perde Gianni?” Era evidente l’appello ad altre responsabilità. Mi passarono in un attimo davanti agli occhi tutte le immagini dei compagni persi per strada dalle elementari in avanti. Molti dei quali illusi da una scuola di massa che si rivelava selettiva nei modi.
I miei Genitori mi parlarono della Firenze del Sindaco Giorgio La Pira e dei racconti di vita vissuta da giovani meridionali trasferitisi nei dintorni del capoluogo toscano per lavoro in quegli anni. Ricordiamo che a metà degli anni sessanta l’Italia viveva il culmine di quello che allora veniva definito il boom economico. Tra il 1950 e il 1964 il nostro Paese vedeva raddoppiato il reddito netto per abitante. Un risultato raggiunto dopo novanta anni dall’Unità d’Italia del 1861. Un benessere però non equamente ridistribuito perché si accompagnava a fenomeni di sofferenza e di esclusione. Si accrescevano esponenzialmente in quegli anni i disagi delle periferie metropolitane invase dagli immigrati del Sud. Nelle campagne restavano ampie zone escluse dal miracolo economico. Le fatiche nelle opere agricole e nell’allevamento non erano compensate in termini di benessere né garantivano un futuro di grandi speranze. La profonda crisi nel tessuto sociale accese un proficuo dibattito culturale. Si arriverà ad elaborare modelli educativi originali. La presenza stessa di numerosi ragazzi e giovani sbandati nelle grandi città, in particolare mi riferisco agli sciuscià di Roma, provocava la comunità cristiana ad una provvidenziale riflessione sulle iniziative di recupero. Ricordiamo l’opera dei figli di Don Bosco per il recupero degli sciuscià, a Nomadelfia di Don Zeno Santini, alla scuola di Barbiana di Don Lorenzo Milani. Si, Barbiana era uno di quei luoghi di fatica e di vita difficile.
All’apparire dei nuovi modelli educativi si ebbe una levata di scudi contro l’educazione e la scuola tradizionale cattolica. Questo evento nuovo costringerà educatori e pedagogisti cristiani a rivedere le certezze in campo educativo date fino ad allora per scontate. L’evento decisivo per la nascita nelle comunità cristiane di una nuova mentalità in campo educativo e pedagogico è la ventata benefica del rinnovamento suscitata nella Chiesa da Papa Giovanni XXIII e continuato da Paolo VI, il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965). Era la prima volta che un Concilio Ecumenico si occupava di Educazione in generale e in particolare di quella cristiana, addirittura dedicando alla tematica educativa un documento: la Dichiarazione Gravissimum Educationis del 28 Ottobre 1965. La revisitazione delle idee tradizionali sull’educazione non avveniva come un fenomeno isolato ma nel quadro di rinnovamento dell’ecclesiologia, della liturgia, della vita religiosa, dell’ascesi cristiana, del rapporto Chiesa e del Mondo.
Don Lorenzo Milani muore poco dopo la chiusura del Concilio Vaticano II. Il rinnovamento incoraggiato nei documenti conciliari non ne hanno reso meno attuale la limpidezza del messaggio né le profonde intuizioni profetiche ispiranti dal suo insegnamento. Ebbe modo di affermare chi ne aveva realmente compreso la portata sconvolgente del messaggio: ” Don Milani è più per il domani che per l’oggi”. Il priore pur tra tante incomprensioni aveva individuato all’interno della Chiesa un proprio spazio di libertà per la sua azione educativa molto prima che il Concilio ne riconoscesse la validità. Don Milani aveva riconosciuto nel Concilio e nelle Encicliche di Papa Giovanni XXIII i segni dei tempi ormai maturi e che lui aveva previsti. La sua azione educativa conserva ancora oggi la propria originalità indipendentemente da quanto il Concilio ha affermato e non è riuscito a dire. Il priore aveva cercato di vivere il Vangelo sine glossa con i suoi paradossi, insegnando in questo modo qualche importante verità, tenendo ferma quella tensione cristiana che anima la sua perfetta coincidenza tra amore alla Chiesa e fedeltà alle cose, con tanta attenzione agli avvenimenti e all’impegno conseguente.
Dalla nascita in una ricca famiglia borghese, alla prima attività artistica, dalla conversione agli anni della formazione in seminario; dall’esperienza pastorale di vice-parroco a San Donato fino al confino forzato di Barbiana, questa l’esperienza della vita di Don Milani. L’intento che ci accompagna è quello di coglierne quella Teologia dell’Educazione, cioè una riflessione ermeneutica della Parola di Dio sull’Educazione. E’ il motivo che ne ha accompagnato tutta la vita terrena dedicata completamente agli “ultimi” con lo sguardo sempre rivolto a Cristo. Per lui prete-rabbino la scuola era non il fine ma il mezzo per parlare di Dio. Non solo per imparare a conoscerLo ma soprattutto per cominciare ad amarLo. Maestro della parola, Don Milani ci permette di scrutare alla luce della Parola Divina il suo ricco patrimonio linguistico-teologico facendoci sentire rabbi-maestri almeno per un attimo, esperti di cose nuove e cose antiche (Matteo 13,52).
Siamo certi che tutte le sue fatiche siano state gradite e abbiano già ricevuto la Divina ricompensa riservata ai servi buoni, giusti e fedeli, secondo come ebbe modo di scrivere al riguardo in una lettera a Fioretta Mazzei: “Per i vergini con figli suona una musica speciale in Paradiso”.
“HO VOLUTO PIU’ BENE A VOI CHE A DIO MA HO LA SPERANZA CHE LUI NON STIA ATTENTO A QUESTE SOTTIGLIEZZE E ABBIA SCRITTO TUTTO A SUO CONTO”